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Il nuovo evento letterario e musicale


Davide Anzaghi

L’attuale “superfluità” della Poesia e della Musica (per non parlare dell’Arte in generale) lungi dall’annichilarne il valore le ha sospinte verso l’Eden della nobile Superfluità della quale si avverte pulsante “bisogno”. Mai l’arte fu tanto “necessaria” come quando ne fu sancita la mercantile “inutilità”. Avendo assistito a numerose e incantevoli letture poetiche, pausate da interludi musicali affidati al solo flauto (Debussy, Honneger, Fukuschima, ecc.), l’autore si è determinato a contribuire alla soave coniugazione delle due arti scrivendo due brevi composizioni  ispirate al faunesco e mitico suono dello strumento di Pan e al suo incantevole aleggiare. Due aulodie prive di aulicità.

In nomine filii

La recrudescenza delle battaglie aveva funestato il fluire di quei limpidi giorni di primavera. Il conflitto, divampato oltre i confini del paese contiguo, svelava quasi quotidianamente segmenti di quell’esteso labirinto di inestinguibili odi etnici e religiosi che pochi conoscevano, al di qua della frontiera. La comunità internazionale si era limitata ad allestire centri di soccorso, in prossimità del fronte.

Ad uno di questi centri, approntato in un antico ospedale militare abbandonato, un solitario superstite giunse, all’imbrunire di una giornata di vento caldo e impetuoso. L’uomo era apparso sul limitare della radura che circondava l’edificio, con l’ultimo arroventato sole alle sue spalle.

Avanzò lentamente verso l’edificio. Dall’andatura, lenta ma sicura, non sembrava avesse patito ferite gravi nel corpo. In una mano stringeva un pendaglio, simile a quei ciondoli che la devozione appende al collo di chi vuole ricordare.

Riferì una vicenda cruenta.

A conferma di ciò che aveva narrato, l’uomo ci porse la piccola immagine che serrava nel pugno. La lunga permanenza nell’umidore della mano aveva resa irriconoscibile la minuscola fotografia incorniciata. Gli restituimmo il pendaglio. Soltanto allora s’avvide, sgomento, dell’avvenuta annichilazione dell’immagine. E pianse. Un funebre rosario di sconosciuti nomi di battesimo ritmò lugubramente il perpetuarsi delle lacrime, con intrusiva mestizia.

Da quella sera di primavera, nella ventosa ansa della quale ci fu narrato il caso arcano, non ho più potuto dormire. Sospetto che l’indomabile insonnia mi visiti per spronarmi a rinvenire risposte congrue all’insoluto enigma che parvero proporre le parole dello scampato.

*

«Il levare del sole tardava a inondare di luce il grumo di case adagiate nella valle, circondata da fiorite colline. Durante quella notte il terso plenilunio non aveva acceso d’improvvise scintille gli alberi dei pendii, com’era invece accaduto in altre notti di luna. Dalle oscurate ma vigili finestre del borgo i valligiani avevano sentenziato che l’assente brillio - scaturente dal riflesso lunare sulle lenti dei cannocchiali dei cecchini appostati nottetempo fra gli alberi - garantiva che nell’intrico della vegetazione non si annidavano assassini. Nonostante l’assenza delle anomale lucciole inducesse a non paventare pericoli, un imminente evento, fausto e corale, era prossimo a coinvolgere l’intero villaggio e a esporlo dunque al rischio di agguati. Un rarissimo battesimo si stava infatti per celebrare a mezzogiorno e avrebbe fatto confluire tutta la vita del villaggio verso il battistero dell’unica chiesa del paese.

«Già prima di mezzogiorno gruppi di valligiani avevano attraversato la piazza antistante la chiesa e, dopo aver scrutato dal sagrato i boschi attornianti, si erano addentrati nel tempio. Dalle navate e attraverso gli spalancati portali si diffuse per tutta la valle il suono di un organo. Le strade deserte convogliavano flussi di musica sacra verso le pendici delle colline, visitate dal vento di primavera. Dalla penombra della chiesa si levò il canto di una donna.

«Quando il sole fu prossimo allo zenit, la piazza si affollò di parrocchiani avviati verso la chiesa. La frettolosa fiumana dei convenuti durò pochi istanti. Dopo i quali i portali si chiusero, consegnando il borgo al silenzio. Si udiva soltanto il vento che soffiava fra gli alberi dei boschi, pregno del profumo d’incenso che soverchiava l’altro, più soavemente tenue, dei fiori.

«La cerimonia durò a lungo, cadenzata da folate di vento. Allorché un’ultima ventata fu seguita da improvvisa bonaccia, il tempo si fermò sulla valle e un obliquo sguardo si posò, indugiandovi, sul villaggio: prescelto dalla sorte per consumarvi i propri insondabili atti.

«Al termine della cerimonia si schiusero i portali della chiesa e i parrocchiani sciamarono sulla piazza, disponendosi a semicerchio attorno al sagrato con la schiena rivolta verso le colline. Sul limitare della chiesa apparvero i genitori dell’infante, che sorretto dalle braccia del giovanissimo padre, fu innalzato a beneficio degli occhi di tutti i presenti, nello splendore della luce meridiana.

*

« Dalle vicine colline un fucile sparò.

«Un rigagnolo purpureo fuoriuscì dalla bocca del bimbo, colpito da un proiettile che straziò, attraversandole, anche le mani del padre che, fieramente, lo sorreggeva.

«Pochi istanti dopo protratte raffiche di mitragliatrice falciarono rapidamente tutti i convenuti ad eccezione della fanciullesca madre, annichilata dalla tragedia e immobile al centro dell’eccidio: muta e bellissima. Non le fu risparmiata una prolungata e spietata attesa. Un secondo sparo risuonò solitario, abbattendola sul corpo del proprio bimbo.

«Nel non mensurabile tempo che seguì alla carneficina non si vide alcuno né fu dato udire alcunché.

«Sulla soglia della chiesa apparve la figura del prete che aveva celebrato il battesimo. Nessuno poté udirlo gridare la sua collera; né pietosamente invocare il nome del battezzato, i teneri genitori e ad uno ad uno i parrocchiani. Un pianto disperato si propagò per le fiorite colline. Nessuno lo vide stracciarsi la tonaca e confortare - cristianamente spoglio - i corpi agonizzanti di coloro che il destino rapiva.

«Soltanto quando la morte s’impadronì di tutti e dopo avere benedetto le spoglie dei falcidiati e amorosamente staccato dal collo della madre il pendaglio con l’immagine del figlioletto appena battezzato, soltanto allora si decise ad allontanarsi dal luogo della strage. Mentre s’incamminava - volgendosi ripetutamente verso il luogo dell’eccidio - sul rampicante sentiero dei boschi sillabava ancora lo straziante rosario del nome dei martiri che avvolti dalle prime ombre della sera giacevano sul sagrato della chiesa. Nel silenzio attonito della valle.»

Davide Anzaghi


Davide Anzaghi è nato a Milano il 29 novembre 1936. Il padre, Luigi Oreste, musicista, si dedicò alla didattica musicale per un'intera vita e iniziò il figlio Davide, giovanissimo, allo studio della musica. Davide Anzaghi si è diplomato in Composizione, Direzione d'Orchestra, Musica Corale e Direzione di Coro e Pianoforte al Conservatorio G. Verdi di Milano. Dopo la formazione accademica ha seguito corsi di perfezionamento per compositori tenuti da G. F. Ghedini e F. Donatoni. Inizialmente avviato alla carriera concertistica si è da questa presto accomiatato ed ha avviato l'esperienza didattica. Ha insegnato all'Istituto Musicale Donizetti di Bergamo, al Conservatorio di Brescia e da tempo è docente di composizione al Conservatorio di Milano. Dalla nascita risiede nel capoluogo lombardo dove opera come compositore, insegnante di composizione e promotore musicale.
L'interesse per la composizione - da sempre presente - si è più vivacemente destato nel 1968. Da quell'anno inizia la sua operosa attività compositiva, gratificata dall'affermazione conseguita in concorsi nazionali e internazionali. Con Segni e Ritografia vince il Concorso di Composizione Pianistica di Treviso, nel 1970 e 1971. La giuria era composta da F. Donatoni, G. Gorini, G. Petrassi, N. Rota e presieduta da Gianfrancesco Malipiero. Nel 1973 la composizione per orchestra Limbale merita il Primo Premio al X Concorso Internazionale di Composizione Sinfonica Ferdinando Ballo, indetto dai Pomeriggi Musicali di Milano e assegnatogli da una giuria costituita da P. Rattalino, L. Rognoni, G. Petrassi, F. Siciliani. C. Togni e G. Turchi. Nel 1974 la composizione per grand'orchestra Ausa è dichiarata vincitrice del Concorso Internazionale Olivier Messiaen. Della giuria facevano parte G. Ligeti, W. Lutoslawski, Ton de Leeuw, I. Xenakis. La presiedeva lo stesso Messiaen. Sempre nel 1974 la commissione esaminatrice del Premio G. F. Malipiero giudica vincitrice la sua composizione per orchestra da camera dal titolo Egophonie.
Le composizioni degli anni Settanta si orientano verso la sperimentazione. A decorrere dal 1984 l'autore si dispone ad un rinnovamento della propria scrittura compositiva. Dalla quale, oltre ad una cospicua suggestione pitagorica, emerge il nuovo progetto poetico: rivalutare il ruolo dell'ascolto. Per privilegiare il quale l'ideazione compositiva persegue la massima efficacia. La propensione per esiti d'agevole ascolto sospinge l'esoterico codice numerico adottato verso architetture musicali semplici e coglibili.
Sue composizioni sono state eseguite nelle massime sedi italiane e internazionali. La sua biografia e il catalogo delle opere sono segnalati in tutte le enciclopedie mondiali. Le opere fino al 1995 sono edite dalla casa editrice Suvini & Zerboni. Le successive sono di proprietà dell'autore.

www.davideanzaghi.it

 

 
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