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Il nuovo evento letterario e musicale


Fausta Squatriti

Gli amanti del giardino

Sia fatta la volontà di Dio

Scrittori ricordano scirttori: un testo di Fausta Squatriti

Gli amanti del giardino
pubblicato a cura del Parco naturale del Serio, Assessorato alla cultura di Crema, 1991

Spalancai le persiane della biblioteca per guardarlo dall'alto. Certo l'impressione della settimana scorsa era giusta, quelle piante che Franca aveva voluto mettere per circoscrivere la sua zona di usufrutto, erano un orrore. E non è vero che, una volta cresciute, sarebbe stato meglio, anzi. Non parliamo poi del giardinetto di guerra attorno alla magnolia superstite. Si, presa in sé, erano tutte belle piantine, le ortensie, le rose, persino la lavanda, assieme a quei cespugli strani di cui Franca ostentava il nome in latino, ma per me rimaneva un cimiterino inglese.
Gettai l'occhio più in là, all'aiuola sotto il muro della casetta, e quei sassi tutto attorno, c'erano ancora.
Credevo di essere stata chiara, andavano tolti immediatamente. Una delle due magnolie era morta quasi all'improvviso, tanto da fare pensare ad un avvelenamento. Ora il muro di confine era evidente, e le finestre della casa di fronte, guardavano nelle mie. Un bel danno, anche se così, c'era più sole.
Ermanno aveva suggerito un filare di pioppi, che crescono in fretta, e davanti, uno di carpini piramidali. Ma sia Franca che Marina, la quale aveva affittato la parte della casa che dava sul retro, quella con l'immenso faggio rosso, così grande da essere veduto dall'altra parte del lago, se si guardava attentamente, erano contrarie; trovavano quella scelta, contrastante con l'impianto ottocentesco del giardino, e la comune amica Bianca, neofita esperta di botanica, definì il frusciare dei pioppi nel vento, atroce.
I grandi cespugli di eucube che con Sergio avevo trapiantato verso il confine destro, erano cresciuti, aumentando la profondità. Vi si mescolavano i bambù. Nel ripulire quel canneto abbandonato da anni, avevo trovato decine di boccettini di vetro, medicinali usati dall'antica proprietaria della casa.
Sul piano della cisterna, avevo organizzato l'orto, ma più che insalata non cresceva. Un anno anche tanti fiori di zucca, senza zucchini, e per mangiarli fritti avevo interrotto la dieta per mesi. C'era troppa ombra. Avrei dovuto tagliare la grande tuia, oppure il pino che, piantato sulla tomba del cagnolino della signora delle medicine, era tanto cresciuto da mescolare i propri rami a quelli del faggio, e questo a Ivan pareva intollerabile. Decisi di spostare l'orto più in basso.
Sulla cisterna rimase solo un pero, che dava i suoi frutti ogni inverno, senza essere mai curato. Una nevicata ne aveva stroncata una parte, e gli inquilini precedenti a Marina  l'avevano  tagliato  tutto,  lasciando  un moncherino sul quale, secondo loro, si poteva far crescere dell'edera. Solo dopo la disdetta del contratto avevo osato sradicare quel residuo. Guardavo sempre con nostalgia il nudo muro del pozzo, dal quale, sempre gli inquilini, avevano un giorno fatto sparire un ceppo d'edera. Dissero che le sue radici inquinavano l'acqua, che peraltro nessuno beveva più, da quando c'era l'acquedotto. Gli alberi da frutta piantati con Sergio erano ben lontani dal costituire quel bel frutteto che avevamo sognato. Con Fedele si era ripulito ogni sasso del muro di cinta ad ovest, ripassando col cemento tutte le giunture, ma ora le erbacce, anche grosse come tronchi, avevano radicato di nuovo.
I giganteschi laurus cerasus che avevo trapiantato per occultare il cancello, s'erano infittiti, nonostante che Vincenzo avesse loro diagnosticato quella misteriosa malattia che vittimava i laurus in tutta Europa, e le palmette, cresciute spontanee dovunque, ora avevano il loro bravo tronco.Avevo provveduto a tagliare i due pini marittimi che chissà perché avevo voluto in cortile.
Quanto ai due oleandri che lui odiava, ed il salice piangente, erano morti da soli. Fedele, che adorava il risparmio, aveva fatto un gran numero di talee di ortensia, ora grandi piante dai pallidi fiori. Le tre betulle le avevo giustiziate io, con la scusa che le foglie intasavano la grondaia. In realtà in segno di lutto, perché a Fedele piaceva vedere le loro foglie vibrare, quando ci attardavamo a letto il mattino. Non c'era stato niente da fare per i rosmarini che Marcello aveva voluto trapiantare dal suo giardino al mio; avevano vissuto malamente, fino a morirne.
Ottimo risultato invece le azalee che Antonio aveva comperato per me. Quella del piantare, era l'unica attività che, in casa mia, lo salvasse dalla noia. Certo, mi ero dovuta imporre per i colori, sapevo bene che ai bianchi, ai rosa, ai lilla, lui avrebbe preferito dei bei rossi. Per fortuna, perché lui ora non ha più occasione di vederle, le sue piante, mentre a me toccherà seguirne la crescita fino alla fine dei miei giorni.
E il calycantus, quello che Carlo mi aveva tanto raccomandato di procurarmi, ma che per carità essendo un suo regalo gli comunicassi la spesa, era finalmente piazzato e d'inverno produceva fiori nati già secchi che, almeno in questo clima, non fornivano l’inebriante profumo annunciato. Quanto al rimborso, non se n'era più parlato, e non potevo osservare la crescita di quella pianta sgraziata senza un certo rancore.
Per fortuna la grande massa verde scuro del cotoneaster, s'era rimarginata dalle potature insensate di Agostino. Non aveva capito che il cespuglio doveva rimanere raso terra e aveva tagliato tutti i rami bassi.
L'avesse visto Alberto, quello scempio, proprio lui che mi aveva regalato i primi arbusti, garantendomene l'espansione in poco tempo, e c'erano voluti dieci anni. Dovrò decidermi ad estirpare quell'aglio, piantato da Franco nel giardino interno, tra rose e palmette, e rimasto nano da due anni almeno.
Le rose che ho comprato quest'anno, piantate dal giardiniere, stanno già fiorendo.

Sia fatta la volontà di Dio
biografia immaginaria di Fausta Squatriti

Il mio fatidico nome è Angela, e sono convinta che con questo nome i miei genitori, che forse non erano neppure troppo credenti ma che hanno fatto di tutto per sembrarlo, specie agli occhi della comunità di cui facevano parte, abbiano inteso segnare il mio destino, tutto impostato, mio malgrado, ne sono consapevole, sull'acquiescenza nei riguardi della volontà del Signore.
Sia fatta la sua volontà, non manco mai di dire a me stessa, e specialmente nei momenti del dubbio, quando anche la fede più certa, vacilla.
E' capitato anche a me di non riuscire a conciliare l'ineluttabilità del destino con il concetto di Divina Provvidenza e con quello ancora più difficile da accettare di Libero Arbitrio. Mi sono scervellata parecchio, da bambina, su queste contraddizioni, per poi cedere alla Fede, che tutto pacifica entro le sue materne braccia.
Non dimentico mai di ascoltare i salmi, le sacre musiche che mi fanno meditare, pensare a nostro Signore. Questo è un destino che accetto volentieri, essere credente.
Da cristiana, non voglio essere vittima del pregiudizio e della superstizione.
Ho di nascosto ceduto alla tentazione di portare al collo gli amuleti, ma il Signore mi ha punita facendo rompere la catenella con la perdita di tutto, senza che neppure me ne accorgessi. Ho macinato la mia vergogna, senza accennarne neppure al confessore.
Anche in seguito a questo, diciamo così, incidente, ho ragionato parecchio a proposito della Divina Provvidenza, cui da allora sono incondizionatamente devota.
Ora le cose mi sono chiare. Tutta la mia vita deve essere finalizzata a realizzare l'insegnamento di Nostro Signore.
Contro il male bisogna lottare con ogni mezzo.
Per esempio, Lui dice: non uccidere. Capire perché Nostro Signore, che tutto vede, possa concedere che esista la professione del Boia, mi è arduo. So bene che questa è una bestemmia, a volte la logica Divina, ci sfugge. E anche i reali più cattolici hanno istituito e poi mantenuto la pena di morte, persino lo Stato Pontificio, dovrei pensare che vada bene così, ma su questo punto non mi rassegno. Anch'io, non sono meglio degli altri, ci ho messo parecchio ad assoggettarmi davvero alla volontà del Signore, ma adesso che ci sono riuscita, sono finalmente in pace con me stessa.
Il percorso è stato lungo, irto di spine, e poi, non siamo tutti figli di Dio? anche gli Assassini, anche i Boia, tutti, proprio tutti?  E' arduo crederlo, vedendo certe facce, ma bisogna crederlo: non è tutt'oro quel che luccica.
Il Male si diffonde, il Male permea le nostre incerte coscienze come una infezione contagiosa, ma io (non per peccato di superbia, no, non avrei mai voluto compiere, tra tutti gli altri odiosi peccati, questo odiosissimo peccato che mi accomunerebbe a Lucifero, il bello tra i belli) ho deciso di cercare, nella modestia dei miei mezzi, la Via per la Salvazione, a modo mio, da anarchica, lo riconosco, l'ho fatto, mi sono autodisciplinata, ho cercato, ringraziando il Signore per il dono sublime che mi ha dato della intelligenza, ho cercato la retta via, a modo mio, lo ammetto; ora  posso dire come l'ho trovata, e raccontare come mi sono messa l'anima in pace. Una volta per tutte.
Sia fatta la volontà del Signore.
L'idea fissa è stata quella di potere salvare almeno un peccatore, recuperarlo alla gioia. Uno solo, una goccia nell'oceano, se solo fossi stata capace di salvare un peccatore, anche l'anima mia sarebbe stata salva, così pensavo, e ce l'ho messa tutta per attuare il mio piano.
Ho scartato le opere di carità, quel raccogliere stracci per ricoprire altri straccioni, no, francamente, mi perdoni Nostro Signore, non fa per me, chi è nato povero lo può anche sopportare, con santa rassegnazione, Dio vede e provvede, così mi hanno insegnato e così credo, essere poveri ci mantiene puri di cuore, e a Dio piacciono i puri di cuore, me l'hanno insegnato, io ci credo.
Ho fatto vari esperimenti, da dilettante, lo ammetto. Mi sono ritirata in una cella, non proprio una cella ma quasi, in cantina ho provato a flagellarmi, ma non ho avuto cuore di farmi davvero male. Ho digiunato e non è stato un male, mi ha aiutato a mantenere il corpo così, non certo grasso, come me l'ha dato Nostro Signore, ho provato a uscire scalza nella neve, ma i geloni alle dita mi hanno scoraggiata dall'insistere. Mi chiedevo come Dio Padre Misericordioso potesse mai essere contento dei miei geloni, e ho deciso che certo non poteva essere contento, anche se, mortificando la mia carne sana e benpasciuta, mi sarei predisposta a pensieri più alti. Il fatto è che non mi veniva da pensare  niente di bello, in circostanze così disagiate, proprio niente.
Presi in considerazione anche di farmi monaca, provai a immaginarmi introdotta nell'abito lungo, ampio, ma che non nasconde tutte le forme femminili, sono sempre stata attratta dallo spuntare dei seni sotto l'abito, specie quelli delle più prosperose, ed io lo sono, ma mi trattenne lo sgomento di dovere tagliare i miei bei capelli, io ho una bella massa di capelli, appena appena ondulati, quel tanto che basta per non dare problemi al pettine quando li sistemo per la giornata, me lo diceva sempre anche mia madre, che Dio l'abbia in gloria. E le facce livide delle consorelle, la loro latente malvagità, mi ha scoraggiata dal seguire l'esempio. Ma specialmente il loro incarnato pallido, la pelle poco curata, la peluria lasciata incolta sulle loro labbra, forse anche la scarsa pulizia nelle parti intime. E se, da suora, dovessi venire visitata da un dottore, come esporrei a quello sguardo maschile il mio corpo (farcito di peli superflui), forse inutilmente sacrificato? E chi ha detto che la mortificazione della carne fa piacere a Dio? Se ci avesse voluti casti e puri, non ci avrebbe fornito di sensi, e che sensi, sempre all'erta alla ricerca dell'amore.
Ecco, avrei cercato la salvazione nel compiere una missione d'amore, questa fu la sofferta decisione.
Anche se il mondo è pieno di assassini, lo so, dove incontrarne uno pagato dal governo, e che parandomisi dinanzi mi dica, io sono il Boia che cercavi?
Mi misi a frequentare le guardie. Per farlo, una donna ancora giovane, ne deve patire di umiliazioni e compromessi, ma per il mio scopo nulla mi pareva troppo sudicio, lo confesso, mi sono abbassata a livelli infimi, che non ho qui il coraggio di raccontare in tutta la loro evidente turpitudine. Volevo arrivare a sapere chi tra loro avesse già praticato la funzione del Boia, ma pareva che nessuno l'avesse fatto, e la mia capacità di passare dalle braccia di uno a quelle dell'altro, nella speranza che mi avrebbero amata e che sulla mia spalla si sarebbero pentiti, ben presto si rivelò menzognera. Non si innamorava nessuno e di conseguenza non si pentiva nessuno.
Dio Padre non mi aveva creata per fare di me una puttana, me ne rendevo conto ogni volta che dovevo affrontare quegli estranei, in quel penoso corpo a corpo che è l'accoppiamento.
Stavo per rinunciare, quando mi accorsi che nel locale entrava ormai sempre più frequentemente un giovane uomo che se ne stava in disparte, non partecipava mai agli scherzi dei soldati, e sebbene io evidentemente mi offrissi anche a lui, (la voce della mia disponibilità era circolata tra i clienti della locanda) non sembrava interessato ad un rapido quanto devastante incontro carnale con me.
Si era avvicinato solo per invitarmi ad una passeggiata lungo il fiume, e quando ormai io ero certa che mi avrebbe messo le mani addosso, mi riaccompagnò a casa e lì mi salutò gentilmente, cosa che con gli altri non si era mai verificata.
Mi convinsi che non l'avrei più rivisto, mettendolo, lo confesso, dalla parte degli impotenti, o degli omosessuali, supposizioni che si rivelarono entrambe errate, questo, ringraziando il Signore, ve lo posso garantire.
Per qualche tempo non andai più alla locanda.
Lo vidi apparire all'improvviso, mentre tornavo dal mercato carica di un peso quasi insopportabile, e quando senza una parola mi prese le sporte dalle mani accompagnando il suo passo regolare al mio, provai un sollievo indicibile.
Uscimmo insieme parecchie volte, da allora in avanti. Non che ci fossero grandi mete, gli piaceva andare con me verso il fiume, al tramonto. Aveva lo sguardo quasi fisso, è vero, come fosse costantemente concentrato su di un unico pensiero, modi gentili, mai uno scatto, vestito con proprietà, mai un pelo in disordine, e non come quegli altri ragazzi che si ubriacavano perdendo il controllo, no, lui beveva sì, ma con moderazione, e quando decideva che aveva mangiato e bevuto abbastanza, si puliva le labbra, non con la manica, e neppure con il tovagliolo fornito dalla locanda; lo scostava da sé lasciandolo all'estremità della tavola, per usarne uno candido che estraeva dalla tasca, e che dopo l'uso ripiegava accuratamente per riporlo nella tasca opposta, perché, mi disse più tardi, non lo voleva confondere con quello che portava con sé per stenderlo sul terreno prima di sedervisi, e che ora offriva a me, durante le nostre passeggiate. Una volta arrivati abbastanza lontano dagli sguardi indiscreti, alla fine dell'abitato, ma  prima che iniziasse proprio la campagna, ci sedevamo  sull'argine e lui seguiva con lo sguardo la corrente portarsi via di tutto, dalle foglie secche ai piccoli tronchi, ed altri detriti prodotti dall'uomo. Dapprincipio mi annoiavo, domandandomi che cosa mai ci trovasse di interessante, nel fiume guardato così a lungo, fino a quando anch' io cominciai a trovarci qualcosa in quel fissare l'immondizia che se ne va dolcemente trasportata dalla corrente, era attraente specie vederla lottare spasmodicamente per restare a galla, prima di essere travolta, quando veniva presa in un mulinello più forte.
Mi stavo quasi dimenticando della mia missione, e me ne rammaricavo quando alla sera, prima di addormentarmi, non omettevo mai di recitare le mie orazioni. Allora recriminavo, domandando scusa al Signore, di non avere saputo tenere fede all'impegno con me stessa, e di avere cessato la ricerca del Boia da redimere. Contavo di ricominciare la caccia il giorno appresso, ma non lo facevo, mi attardavo nella casa, preparavo focacce che non sapendo a chi offrire, finivo per mangiare da sola, per più giorni consecutivi, anche se ormai molli. Per nessuna ragione al mondo mi concedo di sciupare il cibo.
Distogliendo lo sguardo dall'acqua, si poteva anche avere la sensazione che per quel giorno almeno fosse stata fatta pulizia, anche se sapevo bene che non era così, l'immondizia si rigenera continuamente e neppure la natura riesce a ripulire il mondo da niente.
Una volta mi decisi ad esprimergli il mio desiderio che venisse in chiesa con me, e la mia felicità fu grande quando mi disse che anche lui avrebbe desiderato chiedermi la stessa cosa, senza osare farlo. Fu così che tutte le domeniche, senza più bisogno di dirci niente, ci trovammo davanti alla chiesa, per assistere insieme alla celebrazione della Santa Messa.
Fino a quando una mattina, all'uscita mi prese per mano, non l'aveva ancora fatto, e dopo pochi passi che facemmo fianco a fianco in silenzio, mi chiese se potesse invitarmi a pranzo in trattoria, io risposi di sì con entusiasmo, alla domenica è bello lasciarsi andare e mangiare più del solito.
Di lui sapevo solo che gli piaceva guardare la corrente del fiume fare, come mi aveva detto lui stesso una volta, sibilando le parole, in un modo che mi aveva raggelato il sangue, piazza pulita, e aveva accompagnato la frase con un gesto della mano, a coltello, fatta correre nello stesso senso dell'acqua corrente, e l'aveva seguita con lo sguardo, la sua mano, come quando si lancia una pietra piatta sul pelo dell'acqua per farle fare i cerchi, socchiudendo gli occhi come se fosse stato abbagliato dal sole, ma questo non era possibile, perché eravamo al tramonto. Così non avevo potuto impedirmi di pensare: che Dio mi guardi dalla collera di quest'uomo. Avevo, sempre in questa medesima circostanza, avuto modo di osservare la sua lingua, un po' più rosea del dovuto, e inusitatemente spessa, volteggiargli in bocca, mentre la faceva schioccare al gesto della mano.
Mi aveva parlato, ma solo di sfuggita, di trasferte preparate da un ampio preavviso, e di lunghi periodo di inattività, che gli lasciavano tempo, ma troppo tempo, per pensare, e non lo voleva dire ma io lo capii ugualmente, per annoiarsi.
Fu lui a precedermi, dicendomi che sapeva benissimo che ero stata a letto con parecchi soldati, mi disse che non era contento che l'avessi fatto, ma che non voleva spiegazioni, visto che con lui mi stavo comportando bene.
Mi affrettai a rispondergli che sì, era vero, ero peccatrice, ma che le apparenze ingannano, che in verità io l'avevo fatto a fin di bene, per servire il Signore.
Non che mi aspettassi d'essere creduta, ma la risata fragorosa che sconvolse la sua faccia, trasformando una bocca più che normale in una specie di forno, mi attrasse pur ripugnandomi; anche  in un uomo di robusta corporatura ma non  grasso, quella risata era una ferita. Mi affrettai ad alzarmi dalla riva del fiume dove ci eravamo appena appoggiati, non prima che lui avesse per me disteso sull'erba il suo tovagliolo mentre lui, e lo vedevo che stava a disagio, era costretto a sedere sull'erba, e anche questa volta, sebbene si fosse alzato di scatto quanto me, non mancò di passarsi vigorosamente le  mani sul fondo dei pantaloni, osservandosi subito dopo le palme per vedere se qualche filo d'erba o frammento di terra  fosse loro rimasto attaccato, trovandole pulite, ma forse non troppo sicuro, le sfregò una contro l'altra, energicamente, prima di infilarsele nelle tasche, e mi urlò in faccia: ma proprio questa bugia devi dirmi? A fin di bene? Gli risposi allora che era proprio così, perché cercavo il Boia tra i soldati, per farlo innamorare, e redimerlo.
Tra i soldati? ma quelli, forse a mani nude potrebbero, ma farlo bene ci vuole altro, cosa credi? e poi non c'era bisogno che sprecassi tanto tempo e energia, l'hai già trovato, il mio mestiere è quello del Boia, e allora, sei contenta adesso? Neppure per un istante ebbi il dubbio che scherzasse, mi prese un vuoto di stomaco, Signore Iddio, mormorai, sei proprio tu, quello che ormai disperavo di potere incontrare? Adesso che lui, il mio Boia era lì, davanti a me, e che non era neppure così orrido come avrei pensato, cosa dovevo fare? Scappare? Rimanere? proprio ora che mi stavo affezionando a lui? mi sentii abbandonata, la Vergine Maria non mi stava dicendo niente, eppure, tutto quello che avevo patito, l'avevo fatto per un sacrificio, per redimere almeno un uomo, almeno uno, salvarlo da quel lurido mucchio d'immondizia che è l'umanità peccatrice.
E allora, se sono il Boia non  mi vuoi più? capisci adesso perché non ho amici? capisci perché sono sempre solo? eh, te ne vuoi approfittare anche tu? sussurrò con voce calma, mi parve, ma non ne sono sicura, leggermente incrinata di commozione.
Me ne stavo irrigidita davanti a lui, sentivo il mio leggero vestito avvolgermi le cosce, schiacciato dalla brezza che proprio in quel momento spirava leggera ma costante, la gonna mi stava così addosso al corpo, se avessi indossato la veste monacale avrei dovuto scordarmi questa sensazione di avere un corpo, oppure provarla di nascosto, commettendo atto impuro, Che Dio me ne guardi, ma ero salva, Dio mi metteva davanti un uomo che voleva amarmi.
Un calduccio, un focherello, lo sentivo salirmi piano dall'inguine, su su fino alla gola, dovetti inghiottire quel liquido, neppure nell'estasi della preghiera mi ero tanto accalorata, lo giuro.  
Davanti a me, davanti a noi due, il fiume. Lo guardai come fosse la prima volta che vedevo scorrere dell'acqua in un alveo accogliente, a volte troppo stretto, altre troppo largo e lasciato pertanto secco, inutile.
Scorreva con le sue foglie i suoi tronchi, le scorie, i ferri vecchi deposti sul fondo, le sedie, i tappi, i sacchetti gonfi come annegati, la corrente ci pensava lei a fare piazza pulita della sporcizia, e via, pulire, ripulire lo sporco che offende Nostro Signore, troncare, tranciare, spazzare, ripulire, qualcuno doveva ben farlo, sospingere lungo la corrente tutto il male del mondo.


Fausta Squatriti, nata a Milano nel 1941, lavora operando in più campi della espressione artistica, ricercando quel nesso tra le arti che è totalizzante impegno attorno al concetto di "fare" arte come ricerca. Pittura, scultura, editoria d'arte, graphic design, poesia, critica. L'insieme di campo le permette di affrontare il tema della creatività nella molteplicità di "segno linguistico" che la sua poetica globale consente e richiede.
Nel 1964 dà vita, insieme a Sergio Tosi, ad una attività editoriale nel campo delle edizioni numerate e dei multipli, lavorando con grandi maestri   delle avanguardie storiche   e con gli artisti emergenti degli anni sessanta e settanta. Nel 1980, dopo una breve interruzione, riprende da sola tale attività, dedicandosi ai grandi maestri dell'arte costruita. Ha realizzato, in qualità di graphic design e di coordinatrice editoriale, numerosissimi libri, cataloghi e manifesti d'arte. Ha insegnato all'Accademia di Belle Arti di Carrara ed a quella di Brera, all'Accademie des Beaux Arts di Mons e alla University of Hawaii a Honolulu. È stata la curatrice della mostra storica tenutasi alla Biennale di Venezia nel 1986 "Arte e scienza: colore". Collabora con saggi sull'arte ad alcune riviste, tra cui "Concertino", e dirige per le edizioni "All'insegna del pesce d'oro" di V. Scheiwiller, la rivista interdisciplinare "Kiliagono".
«C'è una struttura fondamentale nei lavori di Fausta Squatriti, uno schema visivo che guida la maggior parte delle recenti opere, progettate e costruite come cicli di ricerca intorno ad un tema, un desiderio, una paura... Fausta è un'attenta indagatrice di dettagli del reale, è attirata da minime sfumature della forma apparente così come è interessata ai significati profondi delle cose, dei gesti, degli sguardi che traversano il vuoto senza un necessario punto di contatto con il mondo...». (C. Cerritelli)

 

 
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