"IMMAGINARE" LA MUSICA



ANGELO   MOLINARI

COMPOSITORI

Fulvio Delli Pizzi si ispira a Il desiderio ci fa erigere imperi

LE POESIE

Peter Genito si ispira all'opera Bigioteria
Franco Romanò si ispira a Luogo comune



Luogo comune


Il desiderio ci fa erigere imperi


bigioteria


bigioteria


bigioteria


Le ali della pittura

Ampio, ma avvolgente, è il gesto che stende il colore in pennellate dense. C’è un effetto da primissimo piano da cui si ricava una sensazione di essere dentro alla pittura come una pulce in un maglione di lana; o, come nell’indimenticabile episodio dedicato a Van Gogh (Corvi) nel film Sogni di Kurosawa, pare di addentrarsi in un paesaggio cromatico costruito per via di grasse pennellate che sovente tornano su se stesse come volute barocche. Lo spessore, il rilievo, il corpo della pittura in primo piano ha un’evidenza quasi ingombrante, che agisce sul senso aptico dello sguardo, cioè sulle “mani degli occhi”.
Anche i titoli, che descrivono attimi affatto eccezionali del vissuto, rafforzano la tendenza a vedere nella componente esperienziale il motore di un lavoro che si pone come una sorta di fenomenologia della pittura.
Molinari si applica all’osservazione del comportamento degli elementi messi in campo, dei “dati” di base: la pennellata, il colore e la superficie, che rappresentano nel loro insieme la conditio sine qua non della pittura;  attraverso la loro declinazione viene a crearsi un’opera che si configua sostanzialmente come una serie di variazioni sul tema, allo stesso modo che in musica.
Nonostante gli estremi performativi raggiunti dall’action painting e la messa in satira da parte di Lichtenstein, la pennellata, applicata in questo caso da quei grandi pennelli orientali (così “fuori-scala” da ricordare per dimensioni teste umane dai capelli lunghissimi), ha un valore strutturale “congenito”, come mostra assai chiaramente l’opera di Cézanne.
Il gesto del pennello di Molinari ha sempre un dinamismo che richiama il barocco ma non ne contiene l’enfasi. C’è una misura, forse di derivazione zen che magari è insita addirittura negli strumenti che ha scelto di usare.
Ritmi spaziali che, fatti di iati, sistole e diastole, richiamano il respiro, e tutto sulla superficie, da un po’ di tempo a questa parte, è sempre più decisamente in primo piano, addosso agli occhi dello spettatore. Il risultato è un “tutto pieno”, ma non si pensi a un “effetto muro”, al contrario il tessuto pittorico è variamente modulato, variegato, estremamente dinamico - il dinamismo è decisamente la caratteristica principale della pittura di Molinari; nel tessuto fitto e gonfio delle pennellate protagoniste si aprono varchi stretti da cui si affacciano altri colori.
I suoi prediletti sono: prima di tutto il bianco, appena o decisamente sporcato
per risultare grigio, seguono il rosso, il nero, il giallo e il blu, e a volte il viola e l’arancio; impiega anche il marrone e qualche verde strano, perchè non ama i colori primari e puri, anzi ogni suo colore nasce da modifiche attuate per accenderne o spegnerne il tono, di conseguenza i suoi colori risultano sempre in certa misura “sporchi”, arricchiti.
Sul colore come dispositivo di interesse percettivo ed emozionale fa affidamento Molinari, ma soprattutto, lo si è già detto, come elemento “architettonico” dello spazio.
Il senso di movimento non è dato solo dalle pennellate che portano in primo piano l’energia del gesto, ma significativamente anche dallo spostamento del ritmo che si percepisce soprattutto attraverso il confronto tra tele simili ma diverse. Perchè Molinari ha l’abitudine di lavorare su gruppi di quadri contemporaneamente, e proprio in quelli che appartengono alla stessa “famiglia”, e che condividono formati e/o colori, si fa più evidente lo scarto, magari minimo ma sostanziale.
Il procedimento pittorico prevede diversi “passaggi”, anche se il risultato finale batte le ali palpitando, sotto vi sono alcune stesure precedenti, più calibrate, che funzionano da trampolino per lo sviluppo (e il viluppo) del gesto conclusivo, più rapido e disposto all’improvvisazione.

Ultimamente Angelo ha introdotto una novità che riguarda il supporto: a volte dipinge su due parallelepipedi abbinati, che consistono in una specie di espansione nelle quattro dimensioni della superficie del quadro; ne risulta una installazione composta da due “totem” coperti di pittura su ogni lato. Sono indubbiamente gemelli o proiezioni reciproche, la concretizzazione massima di un dipinto e il suo doppio. Il movimento “virtuale” delle pennellate è qui potenziato da quello reale delle strutture imperniate su una base appoggiata al pavimento che consente loro di girare su se stesse a 360 gradi e di essere diversamente orientate, in modo da rendere mutevole anche la relazione tra di loro, oltre che quella con l’ambiente. Questi Environment suggeriscono il ricordo, nonostante le innumerevoli differenze sia sul piano degli intenti che di ordine stilistico, dei Plurimi di Vedova, conosciuto al tempo degli studi nella città lagunare; mentre il “seme” dell’Oriente, che sarebbe germogliato assai dopo, fu gettato da Hsiao Chin (Shangai 1935), suo insegnante all’Accademia di Belle Arti di Venezia, quando in fondo Molinari non pensava ancora alla “pittura da dipingere”, mentre si dedicava a lavori a sfondo decisamente concettuale.
(Elisabetta Longari)

 

 


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