POESIA CHIAMA MUSICA



Maria Pia Quintavalla


Parmigiana, I  
Ritratto in piedi
Dalla torretta  
Ecco un io pianetino  
Come un'epidemia

Parmigiana, I
Tutti gli amori ti furono infelici perché ci credevi,
tutta vi aderivi, alle promesse
dell'essere - al suo centro, ti innamoravi della vita
del paradiso dalle palme lente e dolci
dell'amore improvviso nelle dita,
degli amanti napoletani della forza che
ti travolgeva ma di messi astrali, bianche
di una stella carnale
antiche passeggiate e dolci mani,
della vita sentivi lì la forza intatta infrangersi
stupita appartenente a corse, statue di gaggie
erano tonfi al cuore, desiderio e copule del mare.
Forti le braccia i baci le lusinghe,
per amore della vita che perdevi
e lenta nell'amore ti perdeva.

Dalla torretta
Dalla torretta, svelta sotto il cappotto/ e i documenti (falsi? veri?)/ e lei non vista, che guardava. L'uscita l'aveva occhieggiata negli anni, /le gambe vezzeggiate e denudate,/come un amante.
I colonnelli erano al governo, la loro /dittatura imperava di prigionia /e di primogenitura.
Imperterrita sul luogo si era abituata /a vivere assediata, ma un giorno / stanca di sostare entro le mura, uscì./ Passaporto confini e uscite erano libere./ (Aperte). Fiatò tremò sul bavero della camicia, /poi si avviò, le voci.
Le voci le sentiva ridosso di altre voci,/ erano decadute erano state - tutto il tempo/ sue e segrete ma le sentiva /già lontane, fuori - giacché nascoste, /male custodite.
Ma non più accanto a sé né dentro,/ udite per la via erano dette, e divenute/ come sue, silenti.
Silente appassito era il suo volto - /che ogni tanto incontrava, e poi scansava -./poi lento, rasente il muro riaffiorava./ Toccava crepe introduceva il dito, /tra una fessura e l'altra respirava. /Pioveva intonaco divino. Ma lei /qui stasera si sentiva esclusa.
Da un editto celeste un po' malato, /ma perfetto al suo tatto, un po' felino.
Dal fondo lago verso sera /il passo la guidava, se felice.
Felici e lunghe le falcate della sera, /se ritornava in più serena e forte,/ pencolante.
Per quei bagliori e strade tutta /una lucciolata ne veniva tardi sospesa: fuori /dalle sue mura le distanze apparivano consuete./ Nessuno l'avvertì di cumuli di buoi/ in rovina, al suo passaggio.
Campagne dal deserto seminate, / dal passo lento di carri e processioni - /fedeli popoli in cammino;
già altri già sfollati, nati.
Nati di lì decisero sortire, mille/ e mille di loro se ne andarono.
In esilio da primogeniture - lenti e molti, /disastri di astrali gelosie - e disastri/ come teatri,
altri astri.

Ecco un io pianetino
Ecco un io pianetino invisibile azzurro, e che non viene attaccato, presentarsi di spalle scalpitante recalcitrante, poi avanzare su sé, e di fronte all'occhio monologo del buon Dio, sui piedi ritti
presentarsi pari unito, e dire:
Sì, sono brava, la sono dal tempo dei miei primi banchi, bianco quadrati della vita, dove mani conserte e piedi a lato, mi ritrovai pensosa donna.
Davanti all'occhio del buon Dio lei gongolava, poi lestamente abbassati gli occhi miopi, e i benedicenti piedi, chiedergli,
Perché non parli e non dici cosa davvero pensi su noi, sul mio destino?
Se ho peccato se lì vicino agli occhi di sorgente dove abitavo (e tu vivevi) ritieni giusto qualcuno di nascosto si presenti e torni, per noi bene dicente a dire, Pagherete!
Su voi più piccoli piove la gloria, ripeteva il Dio grande paterno dalle chiome a riccioli distesi. Non chiedere più niente, non lo fare. Bene dicente è il glicine che appeso, beve alla finestra marzolina della sera le sue tonde parole le preghiere, di quando trepida bambina là distesa, ti ritrovai in intima attesa della vita.-
Se Dio mi ama io scrivo e se non scrivo muoio, peggio beccheggio, e stono fino a sera le mie modestissime preghiere che, come tozzi di pane restano là chiuse né con l'acqua si nutrono ma il ristagno che le gonfia e accompagna può anche ucciderle scipirle, farne mollica o semente senza odore della sera.
L'occhio di Dio la rimirava piccola e mansueta, una bambina spiritosa, ma la sua ombra disegnava un muro là di fronte misero sterrato, dal convolvolo abbassato.
Non credere agli uragani d'amore del passato, al matrimonio pieno alla felicità durevole col mondo, ordina l'apertura della gabbia sfondo dove qualcuno seppellisce l'occhio. Va' in sordina,
va' a rivelarti integra, piccolina sull'impronta scalpore della sera,
su ciottoli del fiume su refoli di sera, fuori da cerchia e mura - di rivolte beghine, la tua sera.

 

 


Maria Pia Quintavalla è nata a Parma e vive a Milano.
Ha pubblicato: Cantare semplice (Tam Tam Geiger 1984 prefazione Nadia Campana), Lettere giovani (Campanotto 1990 prefazione Maurizio Cucchi), Il Cantare (Campanotto 1991 prefazione Nadia Campana), Le Moradas (Empiria, 1996 prefazione Giancarlo Majorino), Estranea (canzone) (Piero Manni 2000, introduzione di Andrea Zanzotto), Corpus solum (Archivi del 900, 2002 prefazione di Giampiero Neri), ultimo libro: Album feriale (Rosellina Archinto 2005 prefazione di Franco Loi)
Ha curato le antologie: Donne in poesia, Presidenza Comune di Milano 1985, ristampa 1988, Campanotto, omonimo festival nazionale, dal 1985, Milano.
Figura in numerose antologie della poesia italiana, di cui l'ultima "Trent'anni di Novecento", a cura di Alberto Bertoni, Book edizioni 2005.
Vincitrice ai premi: Tropea, Cittadella, Città S.Vito, Alghero Donna, Nosside, Gold Winners Nosside, Marazza Borgomanero, finalista in cinquina al Viareggio 2000.
Traduzioni in lingua tedesca su: Skema, Università di Tubinga 1988, (a cura di Carlo Alessandro Landini), in lingua spagnola su Certa, Barcelona, 2000, (a cura di Fabio Scotto), in lingua inglese per Yale Italian Poetry, a cura di Paolo Valesio, New York, 2005
Cura seminari sulla lingua italiana, e sul testo poetico, presso diverse istituzioni, tra cui l'Università Statale di Milano, Archivi del '900, libera Università delle donne, Società Umanitaria.
 
     

 
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